domenica 22 giugno 2014

de l'ALCOLISMO e la BIPOLARITÀ .

Cara Francesca, ti ringrazio molto per quello che fai per la miglior
riuscita del seminario.
Devo confessarti la mia felicità nel leggere le parole scritte nel tuo 
commento; innanzitutto perché hai colto appieno lo spirito che 
aleggia nella traccia in tre punti, della quale converseremo insieme
con le praticanti; è proprio quello lo spirito che intendevo far scaturire
dalle indicazioni supportate dalla idea di fondo che l'alcolismo 
(malattia che ritengo sempre accompagnata, correlata, alla patologia 
di bi-polarismo, più o meno evidente e grave) comporta, qualora non
se ne uscisse attuando proprio quei tre passaggi descritti (MENTALITÀ -
INTELLETTO - COSCIENZA) che l'alcolismo, dicevo, rimanga una
reale condizione psicofisica assolutamente irreversibile e non ci sono
né santi né madonne per uscirne.
Si diventa e si resta niente più che uno zombie da scansare, come 
ben sai: un vero e proprio lutto, perché corrisponde ad un reale ed
in-cosciente suicidio della persona. Il vivente si trasforma in morto-
che-cammina, e cammina solo a condizione di assumere alcol in
quantità, te lo dico per esperienza diretta, assolutamente spropositate.
Questo per quanto concerne la tua acuta osservazione, che l'alcolismo
è, di fatto un lutto.
Ma la mia osservazione non si ferma qui.
Il solo fatto di riuscire, discutendo su questa traccia, a rientrare nel
tema principale dell'incontro e cioè l'esperienza che ho (e non
che ho avuto, perché la questione è tuttora in ballo) con l'alcolismo,
accompagnato dalla ciclotimia (o viceversa, la patologia composta
sempre quella è) mi autorizza a porre una certa domanda, cioè se
all'alcolista attivo si può tendere una mano, e come.
Porgendogli un bastone per estrarlo dalle sabbie mobili, bastone che
non afferrerà mai perché lì dentro ci si crogiola?
Con la tolleranza, vale a dire semplicemente sopportandolo?
Con la compassione, vale a dire patendo assieme a lui?
O con la pietà tout-court, che non si sa bene cosa sia, ma che, di
certo, non può aiutarlo?
O, infine, tentare di convincerlo con mille argomentazioni logiche
a smettere di bere? 
Non funziona; semplicemente non serve, assolutamente, a nulla.
Mi spiego meglio. 
Il riscatto, vale a dire il ri-scatto, lo scatto che si ripete nella
direzione della vita, anche solo biologica, o addirittura della
Vita in senso anche spirituale, è quello che nei gruppi
chiamiamo Rinascita (ovvero ripetizione della nascita, venire
ancora una volta al mondo reale), quel riscatto, dicevo, è in
verità una reale molla interiore compressa e carica, pronta ad
espandersi, anche istantaneamente (come la molla di un fucile
subacqueo carico) se viene opportunamente sollecitata. Perché 
l'alcolizzato, in fondo, non vuole morire: è una protesta quella
che mette in atto bevendo, una protesta, ammalatasi a causa 
della dipendenza mentale e fisica che subentra e che si dimentica
anche di essere nata come protesta.
Qual'è la sollecitazione vincente che può riuscire a far scattare
questa molla compressa, se il grilletto non è inceppato?
Per arrivare a ricostituire l'antenna della ricezione del
messaggio che viene da fuori di sé, nonché la sua comprensione
nell'animo del nostro amico del quale parliamo (il che avviene
non per volontà dell'alcolista ma per la sua resa ad un sentimento),
l'amor proprio sembra essere l'impulso più possente al quale può 
rivolgersi il singolo nel problema, e parte proprio da lui questo
impulso allo scatto.
Dunque l'amor proprio  è lo stimolo da sollecitare, e l'esempio
del risultato tangibile di quanti hanno raggiunto l'astinenza, fra
coloro che siedono accanto a lui nel gruppo, aumenta le
probabilità si successo.
Questo evento può avvenire all'interno del gruppo durante
una riunione (molto spesso avviene proprio alla prima riunione);
o anche parlandone con un amico uscito dal problema, con il
quale accetti di parlare prima della riunione; o anche in una seduta
di psicoterapia se opportunamente stimolato; o anche, addirittura,
standosene una mezz'ora in silenzio seduto sulla sabbia,
aspettando un'alba nella quale sarà lui stesso a far sorgere
il Sole, anche per sé stavolta.
Ti abbraccio forte forte.

Grazie, Lorenzo, di questa tua lettera che trovo bellissima.
Ti voglio dire subito - senza frapporre altri pensieri - che,
leggendola, mi è venuto in mente ciò per cui un terapeuta
fa il suo mestiere (ma anche un alcolista recuperato, credo):
in ognuno c'è sempre una parte, per quanto piccola, che vuole
vivere e vuole prendere la strada giusta per amare sé stesso,
l'altro e il mondo. Il compito è aiutarla a crescere, come una
piantina nel terreno inospitale.
A presto, Francesca.

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