lunedì 23 giugno 2014

Miseria e Nobiltà.

Un aneddoto.
Enrico Guerriero, basterebbe il cognome, fu, per anni, l'uomo che
più di ogni altro
mi sollecitò a cercare la strada
in quel suo salone interrato pavimentato con la moquette per non gelarci i piedi
d'inverno
ed attutire i colpi delle pratiche fisiche che eseguivamo;
luogo di riti antichi, di silenzi protratti, talvolta, fino a raggiungere
anche il silenzio della mente da parte di alcuni dei cinquanta presenti,
schiena al muro e gambe incrociate. E le sue parole che, ad ogni incontro,
e ne avevamo tre a settimana, ci stupivano per conoscenza e profondità,
facenti riferimento ad una mole impressionante di comunicazioni e 
di interventi, di chiarimenti insomma, che senza sforzo riuscì a darci,
prima di volare oltre.
Una sera apostrofò due amiche del gruppo che portavano
calzini spaiati di diverso colore, dicendo ad una delle due
"Tu non puoi portarli spaiati, la tua amica si!"
il che ci apparve come una di quelle asserzioni più simile ad un
indovinello orientale così irrisolvibile per noi occidentali
piuttosto che un rilievo di natura estetica;
si spiegò subito dopo sostenendo che l'una li aveva indossati con la 
consapevolezza che fossero spaiati, mentre l'altra per la confusione che
aveva nei cassetti dell'armadio, e distrattamente, con sciatteria.
Era in grado di vedere la consapevolezza altrui e il livello che questa raggiungeva
in chi gli si presentava davanti
e risvegliava in noi la attenzione, la presenza a sé stessi nelle nostre teste
rese dure e insensibili perché assediate dalla mentalità,
fino a quando non vedeva in noi l'impiego e non più 
la stagnazione della mente, per farci proprio arrivare al dubbio
esattamente come invita a fare Cartesio con il suo "Cogito ergo sum"
al quale non sarebbe pervenuto se Hume non avesse precedentemente
asserito "Dubito ergo sum", laddove è proprio il dubbio che frantuma
la ottusa e rigida mentalità per approdare al pensiero libero da schemi,
alla congettura, al ragionamento, alla osservazione acuta e fluida.
La goccia d'acqua fora la roccia, la roccia non può forare l'acqua.
La goccia d'acqua fluida fora la rigidità del ghiaccio.
Il fluire dell'acqua più sottile cioè il suo invisibile evaporare,
il terzo stadio,
solleva tonnellate d'acqua dalla superficie del mare non percepibili
con l'occhio: l'intuizione, l'improvvisa illuminazione, 
che si nutre del libero pensiero,
quello che, pur non vedendo, legge, come solo un matematico sa fare,
con la sua scienza esatta, più di altri, scienza che è da sempre
supporto indispensabile alle altre scienze, fisica, chimica, astronomia
ed alle arti, musica, danza, geometria che disegna figure innaturali,
alle altre arti raffigurative, pittura, scultura, fotografia, 
pervadendo ogni attività umana completamente.
La matematica come scoperta originaria dell'uomo che consente
speculazione all'intelletto.
Miseria e nobiltà, la miseria del bevitore che non si riconosce alcolizzato
e la nobiltà di uscirne giorno dopo giorno; la miseria del disturbato di mente
che non può vedere la follia che porta con sé e la nobiltà di arrivare a concepirsi
soldato semplice e non Napoleone, rimettendo infine i piedi per terra.
Fluire nell'acqua che risveglia, respirare aria ripulita da suggestioni malate,
farsi fiamma sapendo che il Sole non è ancora Luce,
rincorrere l'incontro con la Luce e, incontrandola, saperla accogliere
senza timore o esaltazione, convinto che la spiritualità individuale
che si fa Luce è già Luce.
E' l'Assoluto che travalica i distinguo e le differenze, 
l'Uno ed il Tutto simultaneamente,
il Così sia, quasi imperativo,
che cancella il così è stato, il così è, il così sarà,
l'eterno presente simboleggiato dalla Ohm
che inchioda il tempo
lasciandolo apparentemente libero di scorrere nello spazio
che si rattrappisce nel vuoto, anche se non lo si percepisce.
La teoria degli opposti
dell'Uno e del Tutto apparentemente non conciliabili,
dell'Uno e dello zero
principio della coesistenza del materiale con l'immateriale
supporto unico ai fini della concezione di elaboratori meccanici
ai quali non potremmo concedere diversa impostazione.
La incongruità che scaturisce dalla moltiplicazione di qualsiasi
numero per lo zero e che riproduce implacabilmente
il medesimo risultato, il nulla,
a conferma della espansione e della contrazione che contraddistinguono
i continui assestamenti degli infiniti cosmi infiniti
che solo pochi riescono a indagare
e sempre impiegando la matematica come supporto di indagine,
incontro-scontro che azzera certezze
il conosciuto ed il conoscibile varianti precarie
soggetti alle formule che definiscono le Serie Infinite, espedienti che
consentirono ad uno di noi di approdare alla definizione di energia ed alla
individuazione, non solo teorica, di elementi caratterizzati da una sola 
peculiarità,
quella dell'ubiquità: il singolo quanto, ed è accertato che sono 
di numero infinito.
L'uno e il trino è già provato scientificamente, così come l'uno e il settino,
l'uno e il centino, l'uno e l'infinito o il tutto.
Ciò ha consentito a guide illuminate di dimostrare con dati certi
quanto già avevano conosciuto per via intuitiva, l'esistenza cioè 
di più stati di realtà.
In virtù dell'esistenza di infiniti cosmi infiniti è lecito supporre che
i testi della Cabala
Vadim Zeland con "Lo spazio delle varianti", "Il fruscio delle stelle del mattino"
e "Avanti nel passato"
Choelo
La Bailey con il "Trattato dei sette raggi",
le Guide, che dapprima avevano definito con rigore scientifico sette stati di realtà,
successivamente ne tracciano altri tredici
per i quali stanno aspettando che la comunità scientifica li raggiunga per le
certificazioni,
e ne hanno in serbo altri mille, e la loro supposizione è che esistano infiniti
stati di realtà che vanno a costituire, assieme, la Realtà che stiamo cercando
con foga un po' tutti.
Ma la matematica ci permette anche di leggere le vibrazioni,
di misurarle, di modificarle,
di adattarle per infinite modalità di impiego e
ciò che non vediamo e non sentiamo e non udiamo, 
non annusiamo e non tocchiamo con mano, ebbene,
questo viene portato lentamente alla luce,
come si fa con uno scavo archeologico, procedendo cioè per strati.
Un po' come defoliare un carciofo, senza però arrivare mai al cuore.
 

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