martedì 15 luglio 2014

de l'ANALISI.


Avevo giurato a me stesso che te l'avrei strappata,
quella maschera che mostravi, di distacco finto,
che riservavi al tuo sguardo
quando mi proponevi la terapia di supporto, o, meglio,
una analisi vera e propria.
In camice bianco, eri seduta dietro una modesta scrivania
nello studiolo modestissimo in un piano qualunque
di uno dei mille palazzi che affacciano
sulla barocca via Nomentana, all'inizio, presso Porta Pia.
In camice bianco, il tuo corpo a stento raffreddato da professionalità,
si esprimeva sempre nel calore mal contenuto degli occhi,
specchio dell'incendio della tua anima,
rivolta a me con dovizia di intenti;
e avevo torto a credere così.
Era invece una sfida d'amore, che accettai.
Mi avresti donato la soddisfazione che cercavo solo pochi anni dopo,
due soli giorni prima della conclamata chiusura dell'analisi,
una sera in una cena di gruppo
quando attraverso i tuoi sguardi mi offrivi, trasparente,
l'osservazione della tua anima: eravamo pari,
tu ti offrivi a me così come mi ero offerto a te,
ero oramai tuo simile ed era quello il tuo consapevole riconoscimento.
Poco dopo l'inizio delle sedute una crisi più dura mi dissociò in frammenti
e dimenticai l'esistenza di Lorenzo.
Fui contemporaneamente allora padreterno, e Cristo, e Herob,
e mio padre Alessandro, e il titolare della clinica di degenza,
e il direttore ed il primario nonché mio zio Decio martire.
Gli psicofarmaci non bastarono, ci volle l'elettrochoc.
Venivi a trovarmi di pomeriggio, il transfert già esploso si consolidò.
Tentai di sedurti con l'offerta di funghi e petali di fiori trovati nel giardino,
fosti l'unico umano riconosciuto in quel soggiorno.
Il tuo fascino era marcato da attillati pantaloni a strisce verticali
bianche e nere
dalle quali trassi ispirazione per l'ibis bianco e nero e lo scialle a strisce.
Per te decisi di rientrare.
Eri oggetto di fantasia amorosa vissuta come realtà 
e fosti capace di liberare l'immane quantità di immaginazione illusoria
durante quel fervido periodo.
Ti ricordo come una vera bomba, una di quelle che riescono
a far esplodere l'incendio di un pozzo petrolifero.
Eri bellissima, dentro e fuori, fu questo il primo elettrochoc.
Mi amavi, questo fu l'altro elettroshock.
Decisi di rientrare.
Riprendemmo l'analisi, nel tuo nuovo, confortevole studio,
la scrivania sempre caldamente ingombra.
Ci siamo studiati, le mie mosse erano chiare, aperte, anticipate,
portavano dappertutto.
Mi hai seguito, coscientemente incosciente, in dimensioni a te estranee,
certo a me più congeniali.
La follia, la mia follia, fa fuggir via.
Per spiegare a te o nel vederti in difficoltà, mi sono dispiegato senza riserve
e senza più accettare la seduzione dell'illusione:
avevo te reale da difendere e da conservare.
L'analisi è stata la nostra coalizione sospinta da reciproco amore,
si è resa concreta opponendosi alla iniziale prepotenza
di una mia illusione,
che doveva essere infranta assieme.
Due contro uno.
Aspettavo un tuo segnale d'amore per essere certo 
della risoluzione della partita
ed è arrivato, l'altra sera a cena.
E' un piacere, giocare con te.

Nessun commento: