giovedì 29 maggio 2014

CVIII

Molta poesia la devo alle giornate
trascorse in fondo a un budello con mescita a fianco,
seduto al tavolino storto e sporco
sulla sedia in tubercoli di plastica celeste.

Lì non scrivevo, avevo altro da fare
cioè niente, se non passare la giornata
tra birra e alcolici, con l'uovo sodo
che stentava ad assorbire tutto quel bere.

Dalla mattina, dopo il caffellatte,
alla sera, quando abbassava la serranda,
osservavo il mondo che passava dentro,
lo vidi ondeggiare, non riuscivo mai a fermarlo.

Mi ero arreso, mi ero chiuso lì.
Non concepivo neanche più di proseguire
la vita idiota che si prospettava,
fatta di niente, nel mondo che non sa.

Dopo giorno il giorno, notte la notte,
anche lei appoggiata sul bicchiere.
Esausto, mi convinco ad emigrare ancora,
annoiato in cuor mio di quell'andazzo.

Sarà il lavoro il motivo dell'annichilimento...
Approdo dunque così ai campi di colture ed api;
ho ripreso anche lì a seminare frantumi in terra e in cielo.
Di notte feci rientro a Roma, c'era tempesta.

Viaggio e ricordi da qui son cancellati
Il primo che riaffiora è l'interrato e il gruppo di sostegno;
la mia resistenza, a fronte di quelli, durò nemmeno un'ora.
Il cedimento e il riconoscimento poi; sono alcolista, e smisi.



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