che varco e ri varco, divertito, accecato
dalla fredda chiarezza del mio stesso splendore
rifugiandomi ancora e ridendo di me
in quell'antro abissale ch'è da me conosciuto
che frequento da allora che divenne dimora
dei miei mille gemelli spesso appesi alle volte
o agganciati ai rampini o per terra accucciati
nel buio loro striscianti, scuri onirici impasti
di visioni malferme, mille mie proiezioni
che più scorgo di me e che avevo inventato
per avere sollievo dalla solitudine, che non demorde,
squagliandosi lenta
stearica nera che cola
al bruciare del cero
che accendemmo col fuoco.
Il primo, nella prima grotta.
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