sabato 24 maggio 2014

LIII

Quattordici realtà, striscianti anelli
di argano mentale al fuori indirizzato,

collegate da cadenza allucinata
rivelo a questo spicchio mio di vita.

Dalla prima, vita originaria, alla nevrosi 
per portarmi poi alla terza, somma dei due mali.

Quarta è la costante turbe della mente, l'insofferenza;
che, alla quinta, si moltiplica nelle tante, intrecciate e oscure.

Nella sesta è già distimia con nevrosi
e scivola nella settima, più dura;

qui sono disadattato nella realtà 
anche se riconosco i meccanismi miei mentali

e quelli altrui; telepate, si dice, e
la forte paranoia si presta ad aggredirmi.

Si sale ancora, poi si arriva al dosso,
ero disadattato ed è qui dove mi scollo 

scendendo nell'ottava non più lucida realtà 
da dove non vedo più, ormai son dietro al monte.

Nella nona la mia testa si confonde 
il delirio sopravviene e mi trascina

in quella che io chiamo la spirale;
nella decima rinuncio a ritornare.

Qui entro nella trans-lucidità 
mi appare tutto chiaro, vado avanti.

Nell'undecima non recepisco più nulla per com'è,
scompongo e ricompongo realtà e minuzie

e la ripercorro senza riorganizzarla mai,
in tutte le sue varianti; una soltanto me ne appare, a turno e a caso.

Dodicesima è la ciclotimia,
allorquando effettuo il tentativo di regolamentare gli svarioni,

è l'ultimo espediente che ha la mente mia
per tentare di stabilizzare l'equilibrio del mio umore,

ma questo può realizzarsi a norma dell'alternanza ciclica,
con il bilanciamento della condizione palesata in precedenza.

Questa è la risorsa che ho più cara in quei frangenti,
far distinzione chiara tra l'estranea realtà e la mia follia.

Nella tredicesima realtà trovo tensioni,
mistiche, direi, come elettrici scossoni

che dipartono dalla mente per dar corpo
all'ultima realtà, la successiva, ultima e doppia.

L'elettrochoc è l'estremo espediente
che può strappare e risvegliare forse la distinguibilità,

rilasciandomi ad agire in una a caso delle fasi elencate,;
vuole probabilità che receda retrocedendo.

L'ultima è doppia perché è biforcazione
come il terminale della lingua del serpente.

Realtà autarchica è l'una, detta autismo
dove la mente crea la vita e adatta il mondo;

risorsa ultima e geniale, fine a sé stessa,
permette così di escogitare a modo proprio il reale.

L'altra è irrealtà immaginaria
che si dissolve in dissociazione e distruzione insieme,

lì fallisce il tentativo di adattamento estremo
o di adattare quel che mi circonda, o in parte, almeno.

La mente si distrugge qui per sempre
si ristagna nell'inedia e nel dolore.

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